Storia
Sant'Angelo del Pesco sorge, a 805 m. s/lm, su un dosso collinare che si affaccia sulla media Valle del Sangro, dal lato destro, ed appare adagiato di spalla.
I suoi 1.545 ettari di territorio comunale ricadono nell'area Sannita-Frentana dei "Carracini", che fu Abruzzo Citra, all'estremità nord-ovest della regione Molise, la parte dell'osso della provincia di Isernia.
Le origini risalgono all'anno mille con un agglomerato di case intorno ad un piccolo convento annesso ad una chiesa. Non si esclude l'appartenenza ai Longobardi. Si chiamò Sant'Angelo in Grifone.
Dal 1320 è menzionato come "Sanctus Angelus de Pesculo" e nel 1452 conta 32 fuochi.
Nel periodo feudale, Sant'Angelo è rimasto intimamente legato a Pescopennataro ed è stato posseduto dalle famiglie: Borrello (sec. XIII);
- De Courtenay (1268-1284);
- Sabran (1309-1343);
- Cantelmo (sec. XV);
- Caldora (fino al 1465);
- D'Afflitto (1465-1605);
- Caracciolo-Pignatelli (1605-1747);
- Del Monaco (1747-1806).
Dal 1829 al 1893 è stato "attivo" per lo scioglimento della promiscuità con molte cause giudiziarie. Con l'atto definitivo Pescopennataro mirò a conservare il "del Pesco" e Sant'Angelo tollerò.
Del primitivo castello non rimane nulla, qualcosa sopravvive di una cinta muraria che in epoca angioina proteggeva la comunità che si era allargata al di là del nucleo longobardo e che sicuramente pagava le sue decime (IX e X tarì) alla Chiesa nel 1309 e nel 1328. Subito fuori, secondo il solito, sta il lavatoio coperto che utilizzava l’acqua superflua della fontana pubblica.
Nell’Archivio di Stato si conserva una copia del Catasto Onciario del 1742. Scorrendo l’elenco dei fuochi (uno per ogni famiglia) si ha un’idea precisa delle caratteristiche economiche del paese. La quasi totalità dei paesani erano pastori di pecore al servizio d’altri, alcuni erano braccianti, uno faceva ilfabricatore insieme al figlio minorenne, un altro era mastro falegname con il figlio pecoraio e, infine, un solo faceva il prete con una modestissima proprietà di famiglia.
Eppure una comunità così povera era in grado non solo di pagare le tasse, ma anche di organizzarsi per un mutuo soccorso, tant’é che in quel secolo, forse ampliando una precedente cappella, si costituì una confraternita intitolata alla Madonna del Carmelo.
Una chiesa ricca di ricordi perché i santangiolesi una volta in essa venivano seppelliti e perché in essa trovarono riparo durante e dopo la guerra. Una chiesa che è riferimento per tutto il popolo perché il suo quadro, quando la Madonna del Carmelo prende anche il titolo dell’Assunta, viene portata in processione per tutto il paese. In quel quadro vi si vedono rappresentati anche due Santi. Quello di sinistra è Carlo Borromeo, quello di destra è Francesco di Paola, la cui immagine è ripetuta su un’altra pregevole tela che, un po’ rovinata, è sul pilastro della chiesa. Qui il santo calabrese si vede rappresentato con la legenda raggiataCharitas, il solito saio ruvido, il bastone di eremita ed il cappuccio che copre la sua testa barbuta di anziano novantenne.
Il 9 novembre 1943 i tedeschi lo distrussero completamente per far terra bruciata agli alleati. Così a S. Angelo furono cancellate anche le ultime tracce del piccolo abitato che si stringeva attorno all’antico nucleo fortificato che, secondo la consuetudine longobarda, era stato dedicato a S. Michele Arcangelo. Rimane qualche rudere ed il toponimo catastale divia della chiesa vecchia nella parte più alta del colle che, nell’anno XVI del fascio, fu consolidato con una bella muraglia fatta con quei blocchi di pietra squadrata che qui, ancora oggi, si chiamano bolognini. Lo ricordano i fasci littori scolpiti su pietra, anche se una popolaredamnatio memoriae ne ha parzialmente cancellato uno.